La parola di stamattina è: «pace!».
Pace a voi/noi tutti, Pace a chi è su un letto di ospedale, a chi non ha potuto muoversi da casa.
Pace ai vecchi e pace ai bambini e alle ragazze
Pace a chi non è qui, impegnato dal lavoro, ma pace soprattutto a chi il lavoro lo sta cercando o lo ha perso
Pace a chi aspetta il permesso di soggiorno, a chi attende i documenti per costruirsi un futuro
Pace a chi si considera fuori posto,
a chi è prigioniero o si sente prigioniero
Pace a chi si sente tradito, ferito, deluso
Pace a chi non si sente capito, pace agli affaticati e oppressi
Pace a chi è nell'afflizione e nel lutto
Pace a chi vorrebbe chiedere perdono ma non trova la forza né il coraggio
E pace a chi vorrebbe concedere perdono ma non trova né forza né coraggio
Pace a chi vorrebbe amare, pace a chi vorrebbe credere
Pace a chi spera e resiste
Pace al creato, a tutti i viventi, alla terra dura e al cielo stellato
Pace ai figli e alle figlie (perché lo siamo noi tutti)
Pace ai perduti, pace ai ritrovati,
Pace ai vicini, pace ai lontani
Ora però, attenzione, precisiamo: la pace che noi diciamo ha a che fare con Cristo. Secondo l’autore della lettera agli Efesini, è proprio un lieto annuncio, un vangelo, comunicato da Cristo stesso, anzi è Cristo stesso! (“Lui infatti è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo la causa dell’inimicizia”, v.14) E se noi predichiamo Cristo crocifisso significa che la pace di cui parliamo ha a che fare con la croce, è radicata nella croce. Potremmo dire: “non c’è pace, senza croce”, anzi:“non c’è vera pace, senza croce”.Una pace senza la croce è la pace che rende quieti e indifferenti alla tempesta, una pace che addormenta le coscienze: è una pace illusoria, ingannevole, molto simile all'intorpedimento dei sensi, ad una crisi di vitalità, all’insinuarsi lento e quotidiano di quel senso di mortificazione che avviluppa e inghiotte piano piano le nostre vite, fino a spegnere ogni attesa del nuovo, ogni desiderio di rinnovamento e stupore. Una pace senza la croce è la falsa pace imposta dai forti e dai potenti che vorrebbero conservare il mondo così com’è, con i privilegi dei primi intatti e i diritti negati ai senza voce, con gli ultimi sempre più ultimi.
La pace senza croce è la pace che il profeta Geremia denunciava come la pace dei falsi profeti: «Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo. Dicono “pace, pace!” ma pace non c’è!». La pace senza croce, significa una pace senza giustizia. E sappiamo quanto questo sia di drammatica attualità sul piano delle relazioni umane, anche politiche, non solo nazionali, ma internazionali: “Dove verità e diritto sono violati, non ci può essere pace!” (Dietrich Bonhoeffer).
E dunque, come cristiani, per non diventare come i falsi profeti di Geremia, dobbiamo dire pace al mondo, senza dimenticare però che essa, la pace, è radicata nella croce di Cristo:
La pace radicata nella croce ha a che fare con il dolore del Padre per il Figlio ucciso per mano di autorità ingiuste e violente.
La pace radicata nella croce ha a che fare con il Figlio che si dona per la liberazione dei suoi fratelli e delle sue sorelle dal potere della paura e della morte.
la pace radicata nella croce ha a che fare con la forza unificante dello Spirito che vivifica e ci rende partecipi del dolore del Padre e della passione del Figlio, e allo stesso tempo rende il nostro dolore parte della storia di Dio, della sua memoria e delle sue promesse di pienezza e giustizia.
Questo vuol dire qualcosa sul piano del rapporto tra l’umanità e Dio stesso. Se la vera pace ha a che fare con la croce di Cristo, allora la vera pace ha a che fare anche con la nostra croce! Perché la croce di Cristo e la nostra croce vanno sempre insieme, non c’è l’una senza l’altra!
«E qual è la nostra croce?
E' la scoperta amara e sempre rinnovata di essere davvero in una condizione di disarmonia
il sospiro di chi anela alla liberazione
le nostre contraddizioni e insufficienze
le domande senza risposta, gli enigmi della vita
il silenzio di Dio (perché il malvagio prospera e vince?)
la fatica di morire a noi stessi perché nasca una nuova persona» (da P.Ricca e.Tourn, Le 95 tesi di Lutero, Claudiana, Torino 2004, pp.70-71)
Dette tutte queste cose... 1) non c'è pace senza croce di Cristo! 2) la croce di Cristo, la nostra croce, ....non proviamo una certa inquietudine? Ma io dico: è una benedetta inquietudine! Vuol dire che i nostri sensi sono ancora vigili! La nostra inquietudine è il frutto dell'incontro tra la fede e la speranza, perché «chi spera in Cristo non si adatta alla realtà così com'è ma comincia a soffrirne e a contraddirla», perché per noi la «risurrezione di Cristo non è solo una consolazione in una vita minacciata e destinata alla morte ma è anche l'atto con cui Dio contraddice la sofferenza e la morte, l'umiliazione e l'insulto e la malvagità del male».
Chi spera in Cristo vive scomodamente il proprio tempo! Si fa precario tra i precari, straniero tra gli stranieri. Ma se ci affidiamo alla speranza la fede respira, tira un sospiro a pieni polmoni e si dilata, e comprendiamo che Cristo «non è più soltanto una consolazione nella sofferenza ma è anche la protesta della promessa di Dio contro la sofferenza» (J.Moltmann).
La risurrezione rende giustizia: ristabilisce la piena e rinnovata dignità del Figlio ed è primizia per tutti figli e tutte le figlie oltraggiati dalla morte. La risurrezione lancia un avvertimento ai poteri di morte e del peccato che voglio comandare su questo mondo: il vostro tempo è scaduto!
Durante questa predicazione abbiamo fatto un viaggio. Siamo partiti dall'augurio di pace al mondo, abbiamo attraversato l'ombra della croce, la croce di Cristo, ma anche l'ombra della nostra croce. Abbiamo quindi intravisto il chiarore dell'alba di risurrezione. Come quando dopo un lungo viaggio torniamo a casa e i volti e le cose, e la città e le cose presenti e passate, non saranno mai più come prima perché ormai, attraverso il viaggio abbiamo acquisito nuovi occhi e guardiamo tutto da prospettive inesplorate, Così, possiamo, ora, tornare a ridire “Pace” con parole antiche e nuove nello stesso tempo, possiamo rileggere Efesini 2:17-18 alla luce di quello che ci siamo detti fin qui: vicini o lontani, per mezzo del dono del Figlio, torniamo al Padre, in uno Spirito di intima e profonda comunione con Dio e con il palpito sofferente del mondo. Possiamo, ora, ridire pace al mondo nella consapevolezza che il
Padre è la fonte della amore
Figlio è la fonte della libertà
Spirito è la fonte della vita
e che la pace che noi diciamo riposa nell'intima relazione tra infinito amore, libertà gratuita, vita costantemente rinnovata nelle nostre esistenze e nella vicenda del creato, e che tutto questo è croce, cioé dono di sé, invito a donarsi all'altro; ma è anche risurrezione: vita nuova dedicata alla giustizia: nelle relazioni tra uomini e donne, nella relazione tra i popoli, nella relazione tra l'umanità e il creato intero. Preghiamo affinché l'amore del Padre, la libertà del Figlio e la nuova vita nella forza dello Spirito santo, orientino sempre la nostra attesa e la nostra azione quotidiana, familiare o comunitaria, civile ma anche politica, affinché si possa annunciare al mondo con la credibilità di testimoni veraci del Messia, crocifisso e risorto: “Cristo nostra pace, Cristo nostra speranza” .
Che Iddio ci aiuti, Amen
Predicazione di Pasquale Iacobino, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 22 maggio 2011 secondo l'invito del CEC - Convocazione Ecumenica Internazionale per la Pace (Kingstone, Giamaica – dal 17 al 25 maggio 2011